Durante un programma Au Pair, le esperienze negative possono capitare. Ma le avversità possono anche diventare un’opportunità di crescita se vengono affrontate senza perdersi d’animo, proprio come ha fatto Nicole.
Ciao Nicole! Cosa puoi dirci di te?
Ciao! Sono Nicole Tonzanu e ho frequentato un programma Au Pair in USA per due anni. Stavo per iscrivermi all’Università, ma non ero ancora sicura di quello che volevo fare. Quando ho scoperto il programma per ragazze alla pari ho subito capito che era quello di cui avevo bisogno: amo stare a contatto con i bambini e ho sempre avuto il sogno di vivere un periodo negli USA. E, in questo modo, mi sono presa del tempo per trovare la mia strada.
Dove hai vissuto?
Vicino Boston, Albuquerque e San Francisco.
Sembra che tu abbia fatto diversi spostamenti. Come mai?
Nel tempo, ho dovuto cambiare per ben tre volte la mia famiglia ospitante. Purtroppo durante il mio periodo Au Pair ho affrontato alcune esperienze negative, per motivi diversi.
Partiamo dalla prima. Cosa è andato storto?
Nella mia prima famiglia ospitante, con cui ho completato il mio primo anno, mi sono occupata di due bambini di 13 mesi. Non ci sono stati grandi incidenti, ma avevo difficoltà a relazionarmi con uno dei genitori. Non si era mai confrontato con culture diverse e credo che questo sia diventato una barriera nella nostra comunicazione.
Quando ero ormai pronta a estendere il mio programma al secondo anno, mi ha detto che avrebbe preferito cambiare ragazza alla pari. Nonostante fosse contento del mio modo di occuparmi dei bambini, c’era chiaramente un problema di incompatibilità.
Quindi a quel punto hai dovuto trovare una nuova famiglia ospitante?
Esatto, ho affrontato una fase di rematch in cui avevo due settimane di tempo per individuarne un’altra. Sentivo il tempo stringere e, dato che non volevo ancora tornare a casa, mi sono fatta andare bene una delle prime candidate.
Cos’è che non ha funzionato, in questo caso?
Sono stata ospitata da una mamma con due bambini polacchi. Una volta lì ho scoperto che erano stati adottati da meno di un anno e non parlavano ancora bene l’inglese. Il problema questa volta è stata la madre che, anche se in un primo momento mi era sembrata a posto, si è rivelata emotivamente instabile. Ha cominciato ad arrabbiarsi e urlare in modo isterico per le cose più piccole, o accusarmi di non essermi occupata di faccende che non erano di mia competenza. Spesso, lo faceva in presenza dei bambini, spaventandoli.
Come hai reagito a questa situazione?
Per quanto mi dispiacesse lasciare quei bambini, sapevo che dovevo andarmene. A differenza della prima volta, non avevo più paura di affrontare il rematch. In questo periodo mi ha aiutato tantissimo Valeria, la mia referente in WEP, che mi era stata molto vicina già durante la mia esperienza negativa nell’Au Pair con la prima famiglia.
Sei quindi passata ad una terza famiglia ospitante. Anche qui le cose sono andate male?
Non quanto con le prime due. Eravamo molto più compatibili, ma è stato comunque un anno difficile. Le bambine di cui mi occupavo avevano tre età molto diverse: 9 mesi, 4 anni e 6 anni. Relazionarsi con loro è stata una sfida.
Di fronte a tutte queste esperienze negative durante un Au Pair altri avrebbero gettato la spugna. Cosa ti ha aiutato a non perderti d’animo e non arrenderti?
Prima di tutto, volevo che il mio sogno americano proseguisse. Tolte le situazioni familiari, stavo comunque vivendo delle belle esperienze e collezionando nuove fantastiche amicizie.
E poi è stato determinante il supporto di persone come la mia referente WEP Valeria o mia madre. Nonostante inizialmente fosse scettica sulla mia decisione di partire, posticipando l’Università, mi ha incoraggiata a non arrendermi nei momenti più difficili. Quando ero tentata di tornare a casa, mi diceva “Sei maturata un sacco, non fermarti adesso”. E così ho fatto.
E tu senti effettivamente di aver imparato qualcosa da questa serie di esperienze negative?
Moltissimo. Ho imparato a mettere la mia felicità prima di tutto e a non aver più paura di parlare, dicendo alle persone ciò che penso e provo. Anche se costantemente seguita da WEP, lì ho dovuto affrontare le sfide che mi si presentavano ogni giorno e questo mi ha fatto crescere davvero. In più, adesso parlo perfettamente l’inglese!
“Nonostante tutte le difficoltà, sono certa che lo rifarei.”
Quindi ti sei sentita supportata durante questa serie di esperienze negative nel tuo Au Pair?
Assolutamente. Credo di aver portato Valeria allo sfinimento, ma lei era sempre lì per me. Ogni volta che avevo un problema le scrivevo e se non mi sentiva per un mesetto era lei a contattarmi per assicurarsi che andasse tutto bene. In quei due anni è stata praticamente la mia migliore amica italiana. Non mi aspettavo tutto questo supporto, spesso ho sentito da altre ragazze alla pari storie su agenzie che ti lasciano a te stessa, dopo la partenza. Mi reputo davvero fortunata ad aver scelto WEP: anche se fisicamente sola, non mi sono mai sentita abbandonata a me stessa.
Guardiamo al futuro: hai qualche altro progetto in mente legato a un’esperienza all’estero?
Mi piacerebbe raggiungere il mio ragazzo negli USA e studiare per diventare insegnante per l’infanzia, per poi continuare a viaggiare per il mondo facendo volontariato e lavorando con i bambini. Si può dire che, scegliendo di non iscrivermi frettolosamente all’Università e grazie a queste esperienze, ho trovato una strada che sento davvero mia
Cosa consiglieresti a chi sta pensando di partire come hai fatto tu, ma teme di poter affrontare esperienze negative nel suo Au Pair?
Che nonostante la possibilità di imbattersi in esperienze negative, anche se molto rara (credo che il mio sia davvero un caso eccezionale!), ne vale la pena. In fondo, adesso dico sempre che dopo le esperienze negative ce ne sono sempre di positive: è proprio grazie ai miei diversi cambi di famiglia ospitante che sono riuscita a trovare il mio ragazzo!