Indecisa sul da farsi dopo la scuola superiore, Tiziana ha deciso di prendersi del tempo per conoscere se stessa e dedicarsi agli altri con un progetto di volontariato.
Ciao Tiziana, puoi presentarti?
Ciao, mi chiamo Tiziana Redaelli, ho 24 anni, vivo in un piccolo paese a 20 km da Monza e adesso sono un’infermiera presso l’ospedale San Gerardo.
Cosa ti ha spinto a prenderti del tempo per te stessa dopo il diploma?
Dopo la maturità non volevo rischiare di cominciare l’università senza avere le idee chiare, quindi ho deciso di prendermi una pausa per vedere il mondo, trovare la mia strada e in un certo senso conoscere meglio me stessa. Era una sfida per mettermi un po’ in gioco, per dimostrare che potevo farcela. Non volevo stare ferma un anno, ma piuttosto trovarmi in una situazione nuova e stimolante.
E così sei partita per il Perù…
Esatto, mi sono lanciata in una vera e propria avventura! Volevo una situazione diversa dal mio ordinario e sicuramente è quello che ho trovato in questo meraviglioso paese. Partecipare ad un progetto all’estero è un ottimo modo per capire se stessi e cosa si vuole fare del proprio futuro.
Puoi raccontaci della tua avventura in Perù?
Il progetto in Perù prevede un corso di lingua di circa un mese per migliorare lo spagnolo e subito dopo un periodo di volontariato. Nel mio caso, mi sono unita a una casa di accoglienza per ragazze madri, un’esperienza davvero forte e che ricordo con grande affetto.
La situazione era molto delicata: le madri, tutte minorenni, erano vittime di violenza. Non avevano un altro posto dove stare ed erano completamente abbandonate dai loro cari, per questo la casa era un vero e proprio rifugio. Un luogo sicuro che potevano sentire proprio.
Quali erano le tue mansioni?
Aiutavo nella gestione quotidiana dei bambini piccoli, quindi li cambiavo, gli davo la pappa e poi all’occorrenza accompagnavo le mamme dal medico con i loro figli. È stata in una di queste occasioni che ho avuto la possibilità di vedere un ospedale peruviano… un’esperienza bellissima che mi ha davvero fatto capire quale percorso di studi intraprendere.
Era la prima volta che prendevi parte a un progetto in campo medico?
Assolutamente sì! All’inizio c’era anche un po’ di incertezza, non lo nascondo, e non sapevo se mi sarebbe piaciuto e se fossi portata. Avere la possibilità di lavorare in un piccolo ospedale in Perù e dare un aiuto concreto alle persone locali fin da subito mi ha aperto gli occhi. Persino il mio contributo, che ai tempi era davvero basilare, poteva fare la differenza e questo ha riempito il mio cuore e mi ha dato il coraggio di approfondire questa scelta di vita.
Tornata in Italia ti sei iscritta subito all’università…
Dopo il viaggio in Perù ho capito quanto volessi mettermi al servizio degli altri e ho iniziato a studiare per il test di ammissione. Per le professioni sanitarie c’è un unico test e io l’ho fatto inizialmente pensando al percorso per diventare ostetrica, poi però sono entrata ad infermieristica. Ho un’amica infermiera che mi aveva parlato molto bene della professione e del percorso di studi, così ho deciso di iscrivermi comunque, di provare. Per la seconda volta, buttarsi in un’avventura non programmata è stata la scelta giusta!
E come sono andati gli studi?
Contro ogni mia previsione, ho terminato nei tempi previsti e con risultati ottimi. Credo che il viaggio in Perù mi abbia aiutata anche in questo senso: affrontare meglio l’impegno dello studio e le emozioni che ne derivano. Un altro aspetto del mio carattere che ho potuto conoscere solo grazie al mio viaggio all’estero.
Dopo la laurea sei stata chiamata a fronteggiare l’emergenza Covid-19. Come hai affrontato questa nuova sfida lavorativa e personale?
A due giorni dalla laurea l’ospedale San Gerardo di Monza mi ha chiamata chiedendomi se ero interessata ad un’assunzione immediata. All’inizio ero abbastanza spaventata all’idea di entrare nel mondo del lavoro a davvero poco tempo dalla laurea e durante una vera emergenza sanitaria. Iniziare l’esperienza di infermiera nel mezzo di una pandemia significava mettersi subito in prima linea e imparare giorno per giorno a rispondere celermente all’emergenza. Devo dire che è stato abbastanza traumatico ritrovarsi nel pieno dell’azione e prendersi cura dei pazienti fin da subito in autonomia. Poi ho preso il ritmo e ho iniziato ad avere dimestichezza nel reparto. Come è successo in Perù mi sono buttata, era l’unico modo. La gioia più grande è stata vedere le persone guarire, una felicità che non si può spiegare a parole.
Si direbbe che la tua vocazione sia proprio quella di aiutare gli altri…
Vedere due situazioni così diverse e a tratti drammatiche, prima in Perù e dopo nel mio stesso paese, ti lascia dentro un segno molto forte, ma sono state le persone a farmi prestare attenzione alle cose più importanti della vita e a spingermi a dare il meglio di me. Quando ero in Perù ho potuto vedere come persone che non avevano nulla erano comunque in grado di sorridere della vita, si impara a dare il giusto peso alle cose quando assisti ad una forza d’animo così grande! Impegnarsi a capire cosa provano le persone e quando è opportuno o meno fare domande è un’esperienza che sul momento non mi sembrava un requisito fondamentale per la mia professione. Solo in una seconda fase, a mente fredda, si è rivelato essenziale. Ho capito che avere empatia con le persone, essere gentili e provare a mettersi nei panni di chi si ha di fronte è la chiave per poter fornire la miglior cura possibile. In ospedale ci sono tanti protocolli e tante regole, però è importante essere in grado di vedere la persona prima di tutto per permetterle di mantenere la propria dignità e serenità.
Alla fine essere un’infermiera può essere difficile, pesante, a volte terribile perché vedi cose anche difficili da elaborare, ma è il lavoro più bello del mondo. Sono davvero felice di aver scelto questa strada.
Possiamo dire che dedicare del tempo agli altri ti ha insegnato qualcosa su te stessa?
Non potrei essere più d’accordo! Ti aiuta a riflettere, a prendere del tempo e capire cosa vuoi fare davvero. Sembra strano ma togliere l’attenzione da se stessi spesso aiuta a conoscersi meglio.
Io ho imparato ad essere più indipendente, a non aver paura di viaggiare da sola e a sapermi adattare a una realtà diversa. Sicuramente sono maturata perché era il primo viaggio che facevo in autonomia così lontano. Incontrare l’altro, provare empatia, rispetto e cura per le persone, accogliere ogni sorriso, adattarmi a un contesto diverso e avere un ricco bagaglio culturale da portare in Italia mi ha davvero fatto vedere il mondo con occhi diversi.
Cosa consiglieresti a chi non sa che strada prendere dopo il diploma?
Molti pensano che un anno sabbatico all’estero voglia dire fermarsi e non riprendere mai gli studi in seguito. La mia esperienza mi ha insegnato che non è un modo per stare fermi, tutt’altro! Iniziare un’università di cui non ero convinta non mi avrebbe mai dato il tempo e la forza per comprendere a fondo me stessa, i miei sogni, le mie qualità, la mia strada.