Matteo Michele Andreoli è un diciottenne varesino partito per un programma scolastico della durata di tre mesi in Nuova Zelanda. Ci ha raccontato la sua esperienza, anche grazie ad alcune bellissime immagini.
PPrima di partire per il mio trimestre all’estero e avventurarmi in un paese come la Nuova Zelanda, con modi di vivere differenti e con un sistema scolastico completamente diverso da quello italiano, non sapevo bene come mi sentissi. La felicità era sicuramente tanta perché vedevo avvicinarsi sempre di più l’esperienza che sognavo da mesi. L’idea di lasciare tutto (i miei amici, la mia famiglia e le mie abitudini) un po’ mi preoccupava nonostante questa non fosse la mia prima esperienza fuori dalla mia comfort-zone, ma in qualche modo l’eccitazione per la partenza ha allontanato dalla mente ogni dubbio.
La prima volta che ho sentito parlare della Nuova Zelanda, in un documentario alla televisione, sono rimasto profondamente affascinato dai suoi paesaggi naturali. Così ho deciso di volare dall’altra parte del mondo per scoprire di persona il rapporto della popolazione locale con la natura. È un’esperienza che sognavo da mesi. I miei amici mi hanno sostenuto, e anche un po’ invidiato, perché sapevano quanto volessi intraprendere questa avventura.
La Nuova Zelanda è un paese per la maggior parte incontaminato, con un’atmosfera magica. Uomini e natura convivono in modo perfetto e la popolazione ha cura e rispetto di questi bellissimi paesaggi. Durante la settimana capitava spesso che esplorassi la zona con i miei amici. Dove vivevo, a Beach Haven, ci sono molti parchi e sentieri che attraversano il bush e fanno dimenticare di essere in una zona residenziale tanto si è immersi nella natura.
Di solito durante il fine settimana andavo a fare escursioni di uno o più giorni in posti che non avevo ancora visto. L’escursione più bella è stata quella nel distretto di Rotorua. Il parco Wai-O-Tapu Wonderland, all’interno del distretto, è una zona con un’importante attività geotermica, famosa in Nuova Zelanda e in tutto il mondo. Mentre si cammina si vedono numerosi “laghi” pieni di sostanze acide che conferiscono all’acqua bollente bellissimi colori.
All’interno del parco, c’è un geyser che erutta ogni giorno esattamente alle 10:30 del mattino. Il suo nome è Lady Knox, una dei tanti geyser che circondano Rotorua. Durante la visita a Rotorua abbiamo avuto la possibilità di immergerci nella cultura Maori visitando la ricostruzione di un loro villaggio dove abbiamo imparato tante cose interessanti sull’educazione dei bambini, i tatuaggi e le credenze. Al mondo esistono i tatuaggi belli, quelli brutti e poi ci sono i tatuaggi maori, impossibili da descrivere tanto sono particolari.
Un’altra volta invece sono stato all’Hobbiton Movie Set, dove hanno girato molte scene de Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli. Un posto incredibile. Tutti vorrebbero vivere in una casa degli Hobbit, proprio come nei film del Signore degli Anelli.
Le città neozelandesi sono molto più piccole di quelle italiane e decisamente più tranquille. Dopo un certo orario, quando la maggior parte dei negozi chiude, anche una grande realtà come Auckland si spopola. In Nuova Zelanda tutto è più tranquillo. I problemi quotidiani sembrano non avere lo stesso peso che potremmo dar loro qui in Italia. Le persone sono molto più disponibili, non per un tornaconto personale ma per una predisposizione che pare naturale. E sicuramente ci sono più parchi rispetto all’Italia: ovunque ti giri puoi trovare aree verdi.
Cape Reigna, il “Northless North” della Nuova Zelanda, è il punto più a nord dello Stato e luogo sacro per i Maori. Quel giorno erano venuti con me alcuni exchange student di altre scuole di Auckland. Con loro si è creato un legame molto forte perché abbiamo vissuto la stessa esperienza. Ognuno sapeva cosa provavano gli altri perché era ciò che provava lui stesso.
Il mio host dad aveva 31 anni mentre la mia host mom, che viveva con il fratello di 16, ne aveva 30. Avere così pochi anni di differenza ha fatto sì che si creasse un rapporto più simile a quello tra fratelli che si aiutano nei momenti più difficili. Mi sentivo a casa quando ero con loro. Mentre mi stavano accompagnando in aeroporto mi hanno confessato che non avevano mai provato un senso di famiglia così forte con nessun altro exchange student ospitato prima. Mentre li salutavo mi è scesa qualche lacrima mista alle risate che sapevano sempre come procurarmi.